domenica 20 gennaio 2008

L'embolia polmonare

Definizione: è l’ostruzione improvvisa, parziale o totale, di uno o più rami dell’arteria polmonare da parte di un embolo (embolo= qualsiasi materiale non fluido che si trovi nel letto vascolare, in genere l’embolo classico è costituito dal trombo formatosi nelle vene degli arti inferiori, ma esiste anche l’embolo gassoso, quando è formato da grosse quantità d’aria, l’embolo grasso, quando è costituito da materiale lipidico, ad esempio nelle fratture di grosse ossa, embolo neoplastico, costituito da aggregati di cellule neoplastiche, l’embolo settico, costituito da materiale settico proveniente da raccolte ascessuali) che in genere proviene dalle vene profonde gli arti inferiori. È una condizione che può facilmente essere preveduta e per la quale occorre fare una profilassi, potenzialmente, tuttavia, rimane una forma mortale

Epidemiologia: i dati sulla sua incidenza sono molto scarsi, in particolare a causa della difficile diagnosi e del fatto che in molti casi si manifesta in maniera silente o con sintomi minimi ed aspecifici che ne rendono impossibile la diagnosi in vivo.

I dati che abbiamo ci dicono che in America vi sono 500.000 casi/anno dei quali 50.000 mortali. Sebbene la numerosità possa sembrare non elevatissima, riportata alla popolazione generale e confrontata con altre patologie, rimane il fatto che una mortalità del 10% sia una mortalità altissima.

Da quanto detto sopra, si evince che l’embolia polmonare non è una malattia di per se, ma la complicanza di altre malattie, in particolare della trombosi venosa profonda.

La trombosi venosa profonda è una condizione frequente non solo nell’anziano. È causata principalmente da tre condizioni come la stasi ematica, la presenza di lesioni della parete vascolare ed una ipercoagulabilità. La stasi ematica si realizza non solo nelle pazienti che hanno dei danni della struttura parietale delle vene degli arti inferiori (vedi ad esempio le varicosità venose dell’anziano) ma anche in tutti i casi in cui vi sia una immobilità prolungata degli arti inferiori con una qualsiasi difficoltà di scarico per compressione della cava inferiore. Nel soggetto giovane, è il caso degli allettamenti prolungati, della immobilizzazione degli arti inferiori in seguito a fratture ossee, di interventi chirurgici maggiori, delle gravidanze difficili o in età avanzata.

In tutti questi casi è indicata non solo la profilassi con eparina sotto cute, ma anche la ripresa, appena possibile della mobilizzazione del paziente o il posizionamento di calze elastiche o la ginnastica passiva a letto. Nulla è così efficace, soprattutto nel paziente anziano, quanto la ripresa della deambulazione; occorre ricordare che l’allettamento è una patologia di per se gravata da moltissime complicanze. In presenza di una trombofilia (ossia di una predisposizione geneticamente determinata allo sviluppo di trombosi per l’aumento della coagulabilità) è indicato non solo la profilassi in alcune condizioni, ma anche una terapia anticoagulante con antagonisti della vitamina K per lungo periodo.

Tabella: Fattori di rischio di trombosi venosa profonda/embolia polmonare

Ereditari

  • Deficit di anti-trombina III
  • Deficit di proteina C
  • Deficit di proteina S

Acquisiti

  • Anticoagulante lupico
  • Sindrome nefrosica
  • Emoglobinuria parossistica notturna
  • Neoplasie maligne
  • Policitemia rubra vera
  • Sepsi
  • Stasi vascolare: scompenso cardiaco, anasarca, immobilizzazione
  • Età avanzata
  • Obesità
  • Storia di pregresso tromboembolismo

Per semplificare: da qualche parte nel letto venoso periferico si crea una stasi ematica e si forma una trombosi. Quando una parte o tutto il trombo si stacca, segue il flusso ematico che lo porterà, se non si ferma prima, sino al cuore destro e, da qui, nel circolo arterioso polmonare (ricordare che il circolo che parte dal cuore destro verso il cuore è arterioso per la distinzione che tutto quello che parte dal cuore è arterioso e tutto quello che arriva al cuore è venoso, indipendentemente dal grado di ossigenazione del sangue). Qui i vasi sono così piccoli che è impossibile che il trombo riesca a passare per cui si ferma. Morale della favola, quanto più è grande l’embolo o quanto più sono numerosi, maggiore è il letto vascolare che viene bloccato e quindi escluso dalla ossigenazione, peggio sarà la condizione generale.

Le alterazioni che si instaurano, dopo l’evento embolico, sono una alterazione del rapporto ventilazione/perfusione, una iperventilazione con o senza broncocostrizione, alterazioni parenchimali del polmone. Non voglio tediarvi con tutta le descrizione fisiologica del rapporto ventilazione/perfusione (V/P). Vi basti sapere che il risultato finale dei gas (ossigeno e anidride carbonica) che sono presenti nel sangue arterioso, sono il risultato di una determinata quantità di sangue che nell’unità di tempo circola nel letto vascolare del polmone e la quantità di aria che circola negli alveoli polmonari. Se cambia uno di questi due parametri, si ottiene una modifica dei gas nel sangue. Nel caso specifico, le alterazioni che si ottengono sono che nelle zone irrorate dai vasi che rimangono bloccati dall’embolo, si ha un aumento del rapporto V/P per riduzione del denominatore. Che cosa significa? Normale aria poco sangue, alla fine sangue poco modificato rispetto al versante venoso, quindi poco ossigeno e molta anidride carbonica.

La presenza di una ipo-ossigenazione del sangue arterioso, ovviamente attiva i sensori che vigilano sulla quantità di ossigeno presente, che decidono per un aumento della attività respiratoria, quindi la iperventilazione o tachipnea (vedremo nella clinica che il paziente è dispnoico tachipnoico, ossia respira molto in fretta). Dato che l’anidride carbonica diffonde molto più facilmente dell’ossigeno, il quadro che si ottiene è quello di una ipossiemia, dato che comunque vi è una parte del circolo bloccato con ipocapnia, ossia con riduzione dei valori medi di anidride carbonica arteriosa. Sul versante dell’equilibrio tra acidi e basi che è fondamentale mantenere nel sangue (vedremo se è il caso di fare un apposito capitolo), il risultato finale è quello di una alcalosi respiratoria con ipossia (in soldoni pH elevato sopra i 7,4 con bassa CO2 meno di 40 e bassa O2). È per questo che, nel sospetto di una embolia polmonare è indispensabile fare la EmoGasAnalisiArteriosa (EGAA) e non fidarsi della sola saturazione periferica di O2.

La broncocostrizione che spesso si nota nel paziente (ma che in molti casi rischia di essere l’unico sintomo presente) si instaura molto spesso per effetto delle sostanze che si liberano dalle piastrine che si lisano nel polmone. Se voi pensate che spesso l’embolia polmonare accade in maniera silente in pazienti già cardiopatici o broncopneumopatici, capite come il sintomo broncospasmo può rivolgere l’attenzione verso il solo problema cardiologico o pneumologico, piuttosto che embolico fuorviando la diagnosi.

Per quando riguarda le alterazioni parenchimali del polmone, sono tardive e non sempre presenti. Si possono avere delle aree di atelettasia (in parole semplici, il polmone è come una grossa spugna piena d’aria, che rimane aperta per il fatto che gli alveoli sono costantemente pieni d’aria e il surfactante che vernicia la loro parete, ne mantiene la elasticità. Quando si ha una perdita di surfactante, in questo caso per il blocco della vascolarizzazione, in altri casi per la presenza di malattie genetiche che riducono la sua formazione o nei nati pretermine, in cui la sua produzione non è ancora completa, il polmone perde la sua elasticità, gli alveoli perdono l’aria coartandosi e trasformandosi in parenchima compatto.

Accanto alle alterazioni che riguardano il polmone, vi sono alcune alterazioni che coinvolgono il ventricolo destro. Sono più rare e spesso ininfluenti sul quadro generale. Come detto nelle lezioni sul sistema cardiocircolatorio, il cuore destro lavora soprattutto come pompa di volume, ossia sposta grandi quantità di sangue, e non come pompa di pressione, ossia non spinge contro pressioni elevate.

Nel caso della embolia polmonare, il circolo aumenta la sua pressione, quindi il cuore si trova nella condizione di dover fare una sforzo, in acuto, al quale non è abituato. In rari casi si può avere una insufficienza del ventricolo destro, evidenziabile con una epatomegalia dolente ed il turgore delle giugulari sino all’infarto del ventricolo destro. Sono situazioni rare per il fatto che nel circolo polmonare in difficoltà si aprono così tanti shunt artero-venosi che peggiorano il quadro dei gas arteriosi, ma proteggono il cuore destro.

Quadro clinico

Non esiste un quadro clinico specifico per l’embolia polmonare, per questo è così difficile diagnosticarla nel paziente vivo. L’inquadramento generale del paziente è il modo migliore per fare la diagnosi.

In genere ci troviamo di fronte ad un paziente che, rapidamente, sviluppa una dispnea con tachipnea, sudorazione fredda e cianosi, estrema agitazione ed angoscia che il paziente fa fatica ad esprimere, essendo impegnato a respirare, dolore toracico, tachicardia. Occorre notare che spesso nel paziente anziano o che abbia già una demenza, questo quadro, magari un pochino più sfumato, può essere confuso con l’agitazione psicomotoria e spesso il medico viene contattato per una sua sedazione.

Quando il paziente si presenta con un quadro del genere, occorre fare mente locale se ha fattori di rischio (non dimenticare che, anche nel giovane, il quadro può presentarsi dopo un lungo periodo di allettamento, appena riprende la mobilizzazione degli arti inferiori, quello che spesso succede alle donne post-parto).

Quadro strumentale

Come discusso sopra, la saturazione periferica di ossigeno ci fornisce un quadro indicativo ma molto aspecifico, per cui occorre preparare o effettuare una EGAA. Il quadro, anch’esso indicativo e non specifico, è di una alcalosi respiratoria con ipocapnia e ipossiemia.

L’ECG conferma la tachicardia che è possibile rilevare al polso. Solo in alcuni casi si può modificare rispetto ai giorni precedenti, presentando una onda S in D1, una onda q in D3 ed una onda T in D3, un blocco di branca destro ed una deviazione assiale destra

La radiografia del torace, anch’essa raramente diagnostica, può evidenziare aree di ipertrasparenza od innalzamento del diaframma omolaterale alla sede dell’embolia od ingrandimento del polo vascolare cardiaco.

L’angioTC rimane l’esame diagnostico per eccellenza, permettendo lo studio del letto vascolare polmonare.

La terapia consiste nel mantenimento delle funzioni generali e nella terapia trombolitica in caso di embolia massiva. È ovvio che il quadro clinico generale e la tipologia di terapie che verranno applicate, detteranno o meno la necessità o meno di trasferire il paziente in terapia intensiva. In caso di embolia polmonare non critica con buone condizioni generali del paziente, la terapia da farsi è di stabilizzare il quadro con l’eparina a basso peso molecolare sottocute o eparina sodica e.v. e di aspettare che il paziente si stabilizzi.

La terapia più importante, nell’embolia polmonare, è la sua prevenzione mediante tutti gli accorgimenti necessari nei pazienti a rischio.

In caso il paziente sia ad alto rischio di embolia ed abbia già presentato un evento embolica nel recente passato, è indicato mettere un filtro cavale, ossia una specie di ombrello forellato che viene posizionato nella vena cava per evitare che possano passare emboli di grosse dimensioni. Non è un intervento facile e vi sono molti rischi, ad esempio la migrazione del filtro che diventa esso stesso un embolo, per cui queste soluzioni vengono lasciate solo nei pazienti ad alto rischio.

Ricordo ancora che i pazienti che presentano una trombosi per difetto acquisito, necessitano di una terapia anticoagulante orale per molti anni.

Happy hours : Richiamo di farmacologia: gli antagonisti della vitamina K sono i dicumarolici. Voi sapete che la vitamina K è indispensabile affinché il fegato possa produrre i fattori sierici essenziali per la cascata di eventi che, alla fine, porta alla formazione del trombo. Se antagonizzate l’assorbimento della vitamina K, si riduce la formazione di questi componenti, con conseguente riduzione della capacità coagulativa. Il tutto viene misurato con un esame che controlla in quanto tempo il sangue coagula (PTT) o meglio con il suo indice standardizzato (INR). Tanto più farmaco noi diamo, tanto più tempo richiede il sangue per coagulare. Oltre alla scoagulazione indotta con i dicumarolici a fine terapeutico, ve ne è una iatrogena, complicanza di alcune condizioni patologiche, come nel caso delle insufficienze epatiche da cirrosi, nelle condizioni di iponutrizione (anoressia, alcoolismo) o malnutrizione come nell’intestino corto post resezioni chirurgiche o nelle malattie infiammatoria croniche intestinali.


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